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TESTI CRITICI

La Luce dell'Altissimo

L'Altissimo secondo Luca Gilli

Matteo Galbiati

Critico, curatore, docente di storia dell'arte

Davanti alle immagini di Luca Gilli non possiamo fare a meno di notare da subito la peculiarità della sua proposta che, pur definendosi entro un codice espressivo in cui la forte personalità dell’autore e la sua schietta sensibilità sanno circoscrivere uno stile inconfondibile dettato dal suo intimo immaginario, coerente e chiaro nell’ispirazione, ci consegna allo sguardo cicli fotografici che sanno trascendere sempre dalla contingenza della verità stessa dei luoghi e degli ambienti che va ad esplorare.

La sua fotografia, tesa nell’equilibrio fortissimo di attualità e tradizione, rinnovamento e consuetudine, definita nell’esempio e nei modelli dei maestri cari al suo autore, nonostante resti, di fatto, una fotografia di paesaggio, di ambiente e di “posti”, sa rinnovare il proprio statuto abituale proprio grazie all’energia onirica e trascendente che Gilli sa iniettare nel silenzioso apparire delle sue visioni. Due sono gli elementi che guidano e che si pongono, nell’oltrepassare la realtà delle cose comuni quando la mente e l’intuizione indirizzano il suo occhio e la sua mano, come istanze significanti per la sua esperienza estetica e intellettuale: la luce e la pittura.

Se appare ovvio e scontato parlare di luce per un fotografo, nel caso di Gilli questa non si limita ed essere strumento tecnico per la scrittura dell’immagine, ma si configura come presenza permanente, in grado di porre accenti e intonazioni esclusive alle opere; la luce, infatti, si espande e si contrae, deflagra potenziando ed esasperando i cromatismi che caratterizzano il mondo. Nascono, in questo modo, le atmosfere esclusive della poesia di Gilli che acquisisce, quasi fosse un analista clinico, le tensioni psicologiche, immaginative, inconsce e nascoste di quando vive e osserva. Grazie alla luce, che definisce la verità del mondo, il fotografo emiliano sa rendere l’immagine un principio limite, un luogo di transito tra due diverse dimensioni, tra la concretezza del vero e l’impalpabile atmosfera dell’indefinito, del non misurabile, agisce su due orizzonti paralleli che in queste immagini trovano una reciproca, unica e intensa, consonanza e un felice punto di convergenza ed incontro.

Ecco allora che Gilli traduce altre profondità di campo e ricava spazi interstiziali del visibile tra un qui e un altrove che trovano la propria comune soglia nelle sue immagini così tanto forti nel loro senso ulteriore, da sembrare in contrasto netto con la grazia della loro umana, sensibile, passionalità. Il suo sguardo si sposta scruta, seleziona, individua, raccoglie, elide e somma, si allontana e si avvicina, in un continuo sforzo di racconto complessivo che si suddivide nell’insieme totale dei suoi scatti. Le serie di lavori dedicate ad un unico soggetto abbandonano, in questo senso, un tono eminentemente documentaristico e, benché tutto corri-sponda all’unicità esclusiva, all’anima assoluta di un ambiente specifico, il singolo scatto, in virtù di quel rapporto-dialogo esclusivo con la luminosità contingente, riesce a configurarsi come una singola - e singolare - storia auto-noma. La luce rischiara e scalda le attribuzioni particolari che Gilli intuisce, rileva e osserva fino poi ad immortalarle in immagini destinate ad aprirsi ad una narrazione più ricca e ampia. In questo senso la luce vivifica il luogo e non si limita a dichiararlo ed è il fenomeno luminoso che accompagna, in seconda battuta, il profilo dell’interpretazione desunta da chi osserva le sue fotografie. La luce sospende, rinnova e acuisce il dato sensibile potenziando una lettura fenomenologica ampiamente diversificata e, rispettando la verità delle cose presenti, amplifica il loro valore ulteriore; rischiara a tal punto il mondo presente da sublimarlo poi nell’effimera transitorietà di una trasparenza che non si dissolve, ma si concretizza e cristallizza in un tempo assoluto.

L’altro elemento cui si accennava, strettamente e naturalmente collegato al precedente, è la pittoricità; Gilli dichiara, infatti, una particolarissima sensibilità, tradotta in una cura e un’attenzione intensissime, per il colore e il suo valore enunciativo: il cromatismo che avvolge i suoi scatti, intuito il suo peso potenziale, è concepito, ritrovato e rinnovato ogni volta come energia, accolto con una visionarietà che anticipa l’esito finale, affermandosi nelle sue intensità, prima ancora che esista la fotografia, già nel mondo reale. Tra micro e macro esplorazioni l’artista sa contrarre lo sguardo, facendolo pulsare sulle connotazioni coloristiche di quanto osserva e, quasi agisse con il pennello, con una misura e una puntualità propria del pittore, ordisce una serie di equilibri, tangenze, rimandi e incroci che, oltre a verificare la struttura propria dell’immagine, contribuiscono a mettere in risalto quegli elementi forti che poi aprono le infinite prospettive da leggersi nella singola foto. Foto che, però, non si disimpegna comunque dal suo aspetto “pulito”, atemporale, assoluto. Gilli è abile controllore della materia prima del suo lavoro individuabile, ancor prima che nella strumentazione tecnica, nella presa di contatto diretto con l’ambiente e le sue suggestioni: ogni scatto - grazie al primato della luce e al valore del colore - è una sorta di impression empatica dell’emotività con cui quel determinato luogo è stato vissuto prima e “intenzionato” poi, consciamente o inconsciamente non importa.

Pur nell’effimera leggerezza caratteristica della sua fotografia, l’artista non viene meno a quella concretezza che rende presenti superfici, consistenze, materie, temperature delle cose reali, conducendo il personale registro linguistico come un abile regista cui nulla sfugge nella trama del suo spettacolo. Quest’altra garanzia di sensibilità permette, a chi osserva, di comprendere i termini del vero, ma allo stesso tempo anche di accogliere la necessità di un’interpretazione che Gilli non dà assolutamente per ultimativa o esclusiva. Nel loro equilibrio i colori, mai manipolati o artificialmente rielaborati, né pre né post produzione, riscoprono l’integralità della loro naturalezza, enfatizzando la coralità variegata dei loro accenti in un gradito silenzio che spegne ogni attività, sospende la presenza umana, allontana le testimonianze dell’immediato per rinnovare il patto visivo con la tensione, già ribadita diverse volte, all’assoluto. In questo senso, l’organizzazione, quasi progettata da Gilli, dell’intreccio dei cromatismi che si rilanciano nelle forme degli elementi ritratti, da quelli naturali a quelli artificiali, riscopre il valore fondante della verità, originale e indispensabile punto di inizio di ogni analisi, di ogni interpretazione e di ogni ammissibile confutazione di entrambi.

Fatta questa premessa sulla sua caratterialità estetica, si ha modo di leggere, forse, con una consapevolezza più edotta, questa nuova e inedita serie di opere per la quale l’artista ha voluto, come soggetto, le cave di marmo del monte Altissimo, nel quale già Michelangelo intuì la presenza di marmo di grande qualità. Gilli ha attraversato questo sito produttivo - tanto carico di una propria mitografia - e ne ha colto l’essenza intima. Vuole, così, senza compromessi e senza mediazioni, ripristinare un’aperta correlazione simbolica e, attingendo da un luogo “rude”, come una cava di marmo, sa “scolpire” l’incantevole sorpresa di un’altra interpretazione, di un’altra sensazione per lasciarci vedere, senza deformità accidentali, tutto come è sempre stato davanti ai nostri occhi, ma anche come potrebbe rivelarsi alla nostra immaginazione. Colpisce, in un tale ambiente di lavoro, tanto aspro, rumoroso, polveroso e caotico, come le sue immagini affiorino con una dignità silente che, epurata dell’ingombrante presenza dell’uomo, ritorna ad essere un luogo di presenze altre, di nuove scoperte, di sorprese e stupore. Il racconto visivo della cava si concentra su quella rivelazione attiva che accompagna alla trasformazione dello sguardo e delle sue capacità che, come considerato in precedenza, entrano sempre nell’immagine e, quasi bucandola, si impossessano dello spazio e del tempo di quell’ambiente, di quella circostanza, di quel dettaglio che affiora dalla velata congiuntura della luce e dei colori che le appartengono.

È innegabile come Gilli trascenda dall’Altissimo come luogo specifico per afferire a quella profondità larga di campo - ma anche di umore, di sentimento, di percezione, ecc… - che interviene nel continuo spostamento che fa vibrare il “clima” interno e complessivo da lui percepito e trova, nuove e altre, corrispondenze da uno scatto all’altro. Ogni foto somma, ad ognuna delle altre, un temperamento specifico specchio di infiniti altri: nel complesso il posto particolare, infatti, il sito con le sue caratteristiche incontra una riformulazione del proprio apparire e la fotografia, che dovrebbe essere uno strumento la cui oggettività deve essere innegabile, concede un relativismo raffinato e intelligente capace di accogliere altri pensieri di altre immaginazioni.

Le lande desolate, le ferite brutali, l’ossimorica sequenza di natura e macchina vengono abitate da pensieri diversi e da inedite ipotesi interpretative che Gilli sollecita con il suggerimento visivo dettato dalle qualità della sua fotografia capace di sollevare un’imprevista bellezza in insospettabili spazi di quotidianità: da autore esigente pretende la risoluzione di una evocazione aperta e dialogante che porta l’immagine ad essere luogo di incontro con il pubblico e, quest’ultimo, ad essere compagno di viaggio dell’artista, non destinatario finale di un semplice prodotto. Gilli ci consegna l’impegno della visione e la partecipazione ad una visione impegnata, mai seconda alla banalità del-la consumazione svelta dell’oggi e, men che meno, delle mode che passano nella stagionalità effimera del loro valore.

Il rapporto tra una umanità implicita e una trascendenza osservata da lontano disseminano le tracce per cercare un processo di immersione nella realtà e nell’immaginazione con la ricchezza complessa dei consigli e delle suggestioni dettate da una riflessione estetica, spirituale e intellettuale.

Il dovere del suo lavoro non è mai stupire, ma sempre quello di guidare l’occhio a rileggere l’invisibile, ritrovando una nuova coscienza nella verità del mondo.

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