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TESTI CRITICI

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Momenti sospesi – I luoghi di Luca Gilli

Emilie Gualtieri

Critica, curatrice e storica dell’arte e della fotografia

Nell’undicesimo libro della Genesi si racconta che gli abitanti della città di Babele vollero costruire una torre la cui cima fosse tanto alta da poter toccare il cielo. A guidare lo sforzo e giustificare l’attesa era il desiderio di raggiungere Dio. L’ambizioso progetto venne però interrotto, poiché Dio, giudicando la torre troppo alta, decise di disperdere gli uomini su tutta la terra lasciando incompleto il loro lavoro.

Le fotografie di Luca Gilli (1965) sono prolungamenti dei momenti vissuti soprattutto nei cantieri in costruzione, reiterano e documentano il lavoro umano e una realtà in divenire che, questa volta il fotografo, non concede di vedere conclusa. È come se Gilli ci mostrasse sempre quei minuti precedenti alla scelta divina di interrompere la torre: il cantiere è in corso, ma resta incompiuto. Un cantiere è un progetto in evoluzione, una lunga attesa nella speranza del completamento dell’opera. Gli scenari fotografati sono sospensioni di attimi, fissano luoghi senza identità, di passaggio, dove nulla è permanente e tutto cambia velocemente. Eppure non vi sono detriti, mai presenze umane ma soltanto situazioni create dal loro passaggio.

Anche se i soggetti di Gilli sono essenziali e desolati, non ancora dei luoghi a tutti gli effetti, sarebbe sbagliato pensare a questi cantieri come ai non-lieux di cui parla Marc Augé, perché se è vero che i cantieri non si distinguono idealmente l’uno dall’altro, è la sospensione stessa in cui il fotografo li precipita a qualificarli. Le stanze color latte con gli oggetti che vi galleggiano all’interno e la luce che invade prepotentemente l’ambiente facendo scomparire le ombre, non sono caratteristiche proprie del cantiere, ma sono il frutto del suo sguardo.

Non scatti precipitosi ma fotografie che richiedono lunghi tempi di esposizione, placide attese. E a essere in attesa non è il solo fotografo, ma sono gli oggetti a mezz’aria: un palo che sembra aspettare di cadere, una scala di essere percorsa e una sedia di accogliere qualcuno.

Vi è nelle fotografie di Gilli l’assenza di un tempo definibile e un’insolita percezione dello spazio. Viene da pensare alla sensazione che si prova quando si passa da uno spazio buio a uno eccessivamente illuminato. Gli occhi non riescono a percepire tutti i dettagli, ma a poco a poco, ristabilizzata la vista, la luce lascia scorgere ciò che lo spazio ospita. Poco prima di poter vedere tutto c’è quell’attimo di piacere, di scoperta. Gilli ci concede di fermarci in quel momento sospeso in cui stiamo ancora attendendo di abituarci alla luce, alle stanze, agli oggetti.

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