TESTI CRITICI
Incognita
Perdere lo spazio
Emilie Houssa
Storica dell'arte, scrittrice e co-direttrice del Centre Claude Cahun di Nantes
Perdere lo spazio e ritrovarsi lontano, nel profondo dell'immagine. Non vedere più il luogo, sentire le linee che attraversano l'inquadratura come se stessero passando sopra i nostri corpi. Dove sono i corpi? Li ha inghiottiti il deserto bianco? Non rimane nulla. Lo spazio ingoia i frammenti del tempo. Parole sospese. Il silenzio tamburella, dando ritmo al vuoto. Cercare il nulla, affrontarlo faccia a faccia, senza tremare. L'aria è gelata. Non ho paura. Qualcosa mi sfugge, devo solo ritrovare un punto d'appoggio in questa crepa nello spazio. Come si ribalta una crepa? Perturbare due piani: il vuoto, il pieno, l'immenso e il dettaglio. Ribaltare il vuoto. Perdere lo spazio.
Perdere lo spazio e confrontare lo sguardo con ciò che sfugge. Avete mai notato che ci vuole molto materiale per far sentire il vuoto? Eccoci dunque in mezzo a segni sparsi che non formeranno né tramezzo né alfabeto, ma piuttosto una cassetta di attrezzi sparsi qua e là nel dedalo di muri, sedie, tavoli, attaccapanni, solitari parquet, immagini dimenticate. Luca Gilli agisce sussurrando, alla cartografia risponde percorrendo e tracciando le prove. Come si dice camminare? Passeggiare? Cadere? Come si traducono queste parole nelle immagini? Immaginiamo di seguire le deviazioni di una linea, in questo vuoto desertificato. Questa linea si articola in momenti. Stampa un ritmo come i respiri di uno scafandro che lascia vedere a tratti. Qualcosa emerge e scompare nel bianco. Qualcosa, quasi nulla. Questi spasmi dettano il ritmo e rompono gradualmente l'eco dei corridoi. Qui alcune porzioni di colore, oggetti o la pittura impregnano il bianco dell'immagine con la loro cruda risata, rompono la verticalità e il peso del vuoto. Luca Gilli decentra lo spazio: i dettagli diventano paesaggi e quella che sembrava una linea diventa un percorso in ciò che fino a quel momento si era perso nel vuoto. La linea diventa finzione: racconta ciò che possiamo percepire e il rettangolo dell'immagine diventa lo spazio necessario per il visibile. Luca Gilli reinventa la scuola dello sguardo. Gioca con i fantasmi, perché i fantasmi non vinceranno mai in questo mondo perduto. Siamo nel cuore di un nido, tutto potrebbe abbondare, ma tutto vibra di vuoto.
Attraverso l'accumulo di oggetti di una quotidianità sospesa, oggetti logori, trasandati e sminuiti, Luca Gilli osserva come il corpo rimanga visibile in questi segni del tempo, scrittura e strappo degli uomini. Di fronte alle storie di questi corpi sospesi, l'artista suggerisce anche un altro corpo: quello dello spettatore. Come reagisce il corpo a un vuoto che si dispiega nella sua gravità ed è scritto nelle immagini della raccolta? Luca Gilli mette in scena gli archivi di giornate tranquille, forse di guai. Mette in scena questi archivi per riflettere sulla storia come materiale in costruzione. Il suo lavoro è parte di una continua oscillazione tra pittura, scultura e architettura. La forma può assumere qualsiasi aspetto, il modo di collocare gli oggetti, il modo in cui si inseriscono nello spazio, è più importante della loro stessa esistenza. Attraverso questo lavoro viene messa in atto una ridefinizione strutturale dell'arte.
In questa serie, Luca Gilli raccoglie paesaggi quotidiani attorno a semplici azioni al limite del percettibile, che indovinamo a pezzetti e che possono provocare montagne, sconvolgere la nostra immaginazione o il nostro rapporto con lo spazio. Un paesaggio è politica, è l’uomo che addomestica la natura: un paese saggio. I meticolosi diversivi plastici dell'inquadratura di Luca Gilli offrono un paesaggio che tocca, annusa, gira, manipola. Come Marcel Brookhears, Luca Gilli considera lo spazio quotidiano come un'opera in sè stessa. Si avvicina al territorio in modo indiretto, affrontando le questioni dei materiali, delle scale, dei volumi e delle percezioni.
In Passages, Rosalind Krauss prende esempio da Richard Serra e Donald Judd, che per i loro video o installazioni dispongono una cosa dopo l'altra: i blocchi laccati rossi sovrapposti da Judd in una colonna con un intervallo equivalente al loro spessore, le linee di piombo disposte ad onda da Serra. Non si tratta più di scolpire una massa all’interno di uno spazio, ma piuttosto di confrontare la massa con lo spazio e mostrare la vibrazione che avviene. Così l'interno e l'esterno si fondono, o più precisamente l'intorno dell'opera partecipa all'opera stessa, e il vuoto che si intercala tra due forme piene ne inscrive il peso e la presenza nel visibile. Lo spazio crea i limiti del visibile e quando questo visibile non ha più un limite, ricreiamo lo spazio per comprenderlo e farlo nostro. Lo spazio, con Luca Gilli, è sempre visto come luogo di condivisione, di un'esperienza comune. Non si tratta di fare bello o bene ma soprattutto di far vivere.