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TESTI CRITICI

Sinestesie

Lo spazio della mente

Angela Madesani

Storica dell'arte e curatrice indipendente

Spazio colore luce

Luce che non illumina, luce che è lo spazio, il colore

La struttura

Silenzio

Colore che si annulla nella luce, spazio che è misura di luce

Struttura che si costruisce in luce

Il più, il meno, il niente, quel niente che non è il tutto sia almeno il
poco

L’infinito identificato nel finito, il limite, l’uomo


                            Antonio Calderara (1)


Il nostro è un mondo di clamori, immagini obbligate, social il più delle volte privi di senso. È un mondo di superficialità e di semplificazione a uso di un consumismo furbo ma stupido, teso verso un conformismo sempre più vacuo. E la mia non è certo una posizione vetero-tradizionalista, anzi. A tutto questo trovo nell’arte una scappatoia, un rifugio, ma anche uno stimolo per guardare tutto con occhi diversi. Nel corso degli anni ho più volte curato mostre sul tema del silenzio, facendo riferimento a Giorgio Morandi, ma anche ad Antonio Calderara, artista intelligente, oggi finalmente compreso nella sua grandezza complessa, il cui cammino verso l’astrazione è leggibile in chiave spirituale, sacra, ma non nel senso religioso del termine. La sua è una pittura il cui filo conduttore, come ha dichiarato l’artista stesso, è la luce. 

La prima volta che ho visitato la sua casa-museo sul Lago d’Orta, ho provato un immediato senso di benessere visivo.

Calderara artista certo, ma anche intelligente raccoglitore delle opere dei suoi compagni di strada che fossero Fontana e Licini, ma anche i più giovani fra i quali i più noti sono Klein e Manzoni. 

E poi la straordinaria affinità con la musica, che si coglie nelle sue opere, in cui sono i suoni e le pause, il rapporto con i lavori dei compositori di lui più giovani, con Enore Zaffiri, Bruno Canino. Una musica che avverte nell’aria, nel silenzio rotto soltanto dai suoni della natura vicina. 

Alle opere di Luca Gilli ho guardato negli ultimi anni con interesse senza occuparmene nello specifico. Un giorno, circa un anno fa, infine, ci siamo incontrati e conosciuti, attraverso Paola Sosio, la sua gallerista, e in quell’occasione gli ho parlato del lavoro di Calderara, che sento vicino al suo in maniera profonda. Gilli non lo conosceva, ma una volta scoperto, ha iniziato ad amarlo. Di fronte alle prime immagini che gli ho mostrato, nei suoi occhi si è accesa l’emozione di chi scopre un fratello, un amico.  

I suoi sono lavori silenti in cui a dominare sono il bianco, il vuoto, ma in cui il più delle volte il punctum è costituito dal colore: una macchiolina, una striscia. Punti mobili che diventano un pretesto di viaggio all’interno dell’opera. I soggetti sono ordinari, cantieri perlopiù, materiali poveri che si trasformano, attraverso la capacità del suo sguardo.

In essi è la profondità dei fenomeni. Gilli ascolta il suo circostante, non si limita a toccate veloci. È come se ci trovassimo di fronte a un passo indietro rispetto all’ormai avverata società dello spettacolo. La fotografia è per lui una sorta di meditazione prolungata, fatta di osservazioni plurisensoriali: Sinestesie, questo è il titolo delle opere che ha realizzato alla Fondazione Calderara. In occasione della mostra che questo testo accompagna l’artista è stato, infatti, in quei luoghi, ha girato per le stanze, ha percepito le atmosfere rimanendo in silenzio. «Penso che la fotografia sia un rapporto, un modo per scoprire me stesso, ma anche il mondo e la relazione che posso avere con esso, con quanto, in molti casi, guardo per la prima volta» (2). La fotografia è per lui una sorta di percorso sempre diverso da un punto di vista degli esiti, ma uguale per la modalità di approccio. Le sue sono scoperte, testimonianze di apertura, accoglienza nei confronti di quanto ci sta attorno.

Attraverso le immagini di Gilli, cariche di implicazioni ulteriori rispetto alla mera apparenza, si aprono domande, quesiti ai quali quasi mai si offrono risposte. La loro lettura ci spinge verso l’ignoto, verso altre possibilità della materia, della luce. 

Materia e luce e qui il richiamo è ancora a Calderara, con cui mi è parso di trovare, mutatis mutandis, un comune sentire.

Calderara è un uomo del XX secolo, nato nel 1903, prima figurativo, dal 1959, definitivamente, astratto. La sua è una ricerca, in particolare a partire dal 1944, data della morte dell’unica figlia undicenne, di un senso dell’esistenza. Gilli è un uomo contemporaneo, nato nel 1965, che pure con modalità e soprattutto partendo da presupposti diversi, cerca di dare un senso al suo circostante. Mi pare di scorgere nei loro lavori dei quesiti comuni sulla purezza, sull’essenza, sul senso stesso del fare arte. Entrambi hanno attraversato e attraversano, per quanto riguarda il secondo, momenti di crisi del concetto di umanità, di perdita di valori.

Per ogni fotografia che richiede, per essere eseguita, lunghissimi tempi di osservazione, di riflessione, si vengono a creare momenti irripetibili di intimità reciproca tra l’artista e il luogo che sta fotografando. Soggetti delle sue foto sono spesso cantieri, luoghi rumorosi, ma Gilli riesce a conquistare il silenzio, riesce a estraniarsi a entrare in relazione profonda con l’ambiente. Come se riuscisse a creare una bolla intorno a sé. 

E quindi la luce densa, diffusa, ovattata. Ogni fotografia è scattata quando il tempo è nuvoloso, piovigginoso. È una richiesta di condizioni atmosferiche che riporta alla mente il lavoro di Bern e Hilla Becher, che per oltre cinquant’anni hanno fotografato con la stessa luce. Le sue sono foto prive di ombra. Le presenze sono come sospese. «Fondamentalmente l’ombra trasmette il peso e polarizza il nostro sguardo. Mi interessa toglierla perché il mio intento è di liberare i soggetti dalle convenzioni, dalle abitudini. Togliere peso, gravità, significa donare leggerezza ed è ciò che consente nuove relazioni, apre a mondi altri e libera dalle sovrastrutture. Cerco di farlo tramite la luce che, in ultima analisi, è il nostro tramite con il mondo» (3). Mette così in campo vibrazioni, energie, linee di forza per andare oltre alla contingenza, alle apparenze per giungere nel profondo.

Da un punto di vista della filosofia di Platone, che tanto ha segnato la storia dell’uomo nel corso dei secoli, potremmo affermare che il tentativo è quello di passare dal mondo delle cose al mondo delle idee. «La fotografia è fatta di superfici, sono superfici viste attraverso il mio sguardo, che riverberano nella profondità». La superficie è il primo livello, il punto di partenza per un viaggio.

Titolo di una serie di suoi lavori di qualche anno fa è Blank, vuoto, bianco. «Il vuoto per me è il bianco mentre il nero è come una sorta di muro. Basti pensare ai buchi neri, che sono la somma della densità della gravità». La formazione scientifica (4) di Gilli emerge anche nel suo approccio all’arte. Un approccio che ha segnato anche il percorso di Calderara che aveva fatto studi di Ingegneria al Politecnico di Milano fra il 1923 e il 1925. 

In più occasioni Calderara si è posto il problema della geometria che esprime il rapporto fra la forma e lo spazio che la determina, una geometria che, come da lui stesso affermato, è ricondotta alla “pura essenza del numero”. 

Nella ricerca di Gilli la fotografia è lo spazio stesso dell’opera, fisico e mentale, in cui l’artista percorre un cammino verso l’essenza, la semplicità per via di levare. Nulla è di troppo. Ama citare un noto adagio di Bruno Munari: «Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare». Quella di Gilli è una tensione inequivocabile verso la semplificazione.

Calderara intorno al 1929 scriveva: «Vorrei dipingere il niente che sia il tutto, il silenzio, la luce. Vorrei dipingere l’infinito» (5)

Il racconto che emerge attraverso le sue fotografie non è certo uno storytelling, la sua è una dimensione poetica nel senso più pieno del termine. Nelle fotografie di Gilli è quella poesia dei minimi della quale con grande intuizione ha parlato Roberto Longhi nei suoi viatici storico-artistici. I suoi lavori non sono legati da un filo rosso cronologico. Vi è piuttosto una sospensione temporale. Una dimensione che troviamo anche nel pittore con le sue riflessioni su “essere e tempo” di heideggeriana memoria. 

Calderara parla di «luce che non illumina, una luce senza ombra, una luce che è raffigurazione di se stessa» (6), con parole non dissimili da quelle che usa Gilli per parlare del suo lavoro. Entrambi partiti dal paesaggio si sono spinti verso il grado zero. 

«1957-1958, il mio impegno è interesse alla luce, alla luce che tutto invade, che tutto distrugge per essere lei sola la protagonista. Sono di questi anni le mie pitture al limite del figurativo, quelle pitture chiarissime, nelle quali ogni rappresentazione si svolge sul piano, nel senso che la terza dimensione prospettica non ha più interesse per me. E se è ancora necessario parlare di terza dimensione, si deve intendere una terza dimensione non riferita ad un orizzonte, ad un punto di vista, di fuga, ma ad un’immaginata realtà che trova il suo esistere nelle sovrapposte velature di colore» (7). È la stessa sospensione che troviamo nei lavori di Gilli. 

Ci troviamo di fronte a due artisti privi di formazione accademica, che hanno avviato un cammino attraverso lo studio, la sperimentazione personale. 

Fondamentale è, tuttavia, il rispetto del linguaggio utilizzato. Per Calderara la pittura, l’acquerello, la stampa alle quali si applica con dedizione nel corso degli anni. Per Gilli la fotografia in piccolo formato (8), un formato leggero, che riesca a trasmettere la leggerezza calviniana dei contenuti. La realtà viene rispettata in tutta la sua forza oggettiva, priva di artifici, di trucchi spettacolarizzanti. Tutto è talmente semplice, che potrebbe apparire spiazzante a chi è abituato alla spettacolarizzazione. 

Gilli alla Fondazione non ha certo fotografato i quadri del maestro, ha piuttosto colto dei dettagli dei particolari, che riescono a rendere il sapore di quel luogo, così intriso della presenza di Antonio, del suo gusto, delle sue scelte, dando vita a sinestesie visive.

Quello che si crea è un dialogo tra i due artisti, un dialogo in cui presenze e assenze si alternano in un’atmosfera sospesa, in cui Gilli è riuscito a cogliere e a isolare i vuoti, i bianchi, le isole di poesia, attraverso uno sguardo che esce dal profondo per giungere e testimoniare della purezza del circostante.   


(1) A. Calderara in a cura di E. Schenini, a. calderara, Museo d’arte della Svizzera italiana Lugano, Skira, Milano, 2016.

(2) L. Gilli in conversazione con chi scrive, aprile 2019.  

(3) idem.

(4) Si è laureato in Scienze Naturali.

(5) A. Calderara in P. Bacuzzi, 1936-1949 Periodo Figurativo in AA.VV., Antonio Calderara 1903-1978, Skira, Milano,           2013; p. 69.

(6) Idem p. 73.

(7) P. Bacuzzi, op.cit.; p.119. 

(8) Per piccolo formato si intende un formato dei fotogrammi 24x36 mm. 

     Gilli stampa tutte le sue foto, tenendo sotto controllo anche questa parte del lavoro.

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