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TESTI CRITICI

Silenzi di forme

I silenzi della fotografia

Georges Vercheval

Direttore onorario del Museo della Fotografia di Charleroi

                        

Non voglio raccontarvi dell’albero, né  cambiarlo rispetto a quello che è.

Voglio che mi dica qualcosa, che esso esprima la sua verità, attraverso di me.                                        

                                                                         

Wynn Bullock

 

 

La fotografia esprime la vita, testimonia il proprio tempo, il proprio ambiente, la felicità e la sofferenza dell’umanità. Ma la sua ricchezza è anche la sua libertà di non rappresentare, di non spiegare nulla o di esprimere in modo diverso ! Raggiunge allora una forma di autonomia, diventa oggetto, nuova realtà. Silenziosa. Mi accade a volte, come davanti a certi paesaggi, d’esitare a turbarla con parole.

 

Il paesaggio è buono o cattivo? Jean Rolin così si interrogava, qualche anno fa (1), confrontando il paesaggio dell’antichità, rurale, nobile e generoso con quello dei deserti e degli abissi selvaggi, così come col paesaggio contemporaneo, urbano e industriale. Per Luca Gilli questa scelta non si pone. La luce e la fotografia sono gli strumenti prodigiosi che gli permettono di esplorare l’ignoto e di rivelare la sua complicità con la natura. Pur interessandosi profondamente ad essa, per essa stessa e per difenderla – è consulente per l’ambiente, la fauna e i parchi naturali – al momento di fotografarla ne attinge solo ciò che gli conviene. Pianure ghiacciate, cascate impetuose, vividi sottoboschi e radure incantate sono la materia di cui fa un uso personale e che interpreta. Non lontano da questo concetto è René Magritte col suo quadro “Ceci n’est pas une pipe”: le fotografie di Luca Gilli sono delle immagini prima di essere dei paesaggi ! Il suo punto di vista, l’inquadratura e il momento dello scatto determinano ciò che noi scopriamo.

Trasformare il paesaggio ? Trascenderlo ? Per avere svelato qualche elemento del mistero della natura, ed essersi modestamente avvicinato alla sua verità, Luca Gilli può permettersi qualche audacia…

 

Le sue immagini sono di quelle a cui ci si avvicina lentamente e che si guardano senza fine. Nell’ordine o nel disordine. L’aspetto più importante, e che si percepisce per primo, è il silenzio. Un grande silenzio, impressionante, che ci rigenera e che ci rende migliori. Ciò che colpisce in seguito è la qualità della luce, non violenta. E’ il ritmo armonioso, sono i grigi e i bianchi che sostengono qualche tocco di nero. Poi è l’organizzazione delle forme, piuttosto rigorosa, tendente anche all’astrazione. Diviso tra il piacere sensuale dell’ordine delle cose, un lirismo trattenuto e il bisogno di partecipare ciò che lo circonda, il fotografo vi si avvicina ancora di più. Didascalico, delinea lo strutturato, il sezionato, l’opaco e il lucido, fa risaltare la grana della pietra, lo sradicamento di un lichene, s’immerge nel rigoglio delle piantine e del muschio spugnoso. Infine si lascia tentare dal barocco di un certo antropomorfismo e indulge sul destino di un ramo morto la cui corteccia già si distacca per ritornare humus. Una nuova vita comincia.

 

Mi sembra interessante collocare l’opera di Luca Gilli nella storia della fotografia... a grandi linee, brevemente, e limitandomi al paesaggio, elemento importante in questo contesto, il più importante se non fosse per il ritratto, il nostro e quello di coloro che amiamo. Sin dalla sua invenzione, la fotografia è strettamente legata al paesaggio !  Si racconta che fu nell’ottobre del 1833, durante un viaggio sulle rive del lago di Como, dominando a fatica la propria “ macchina da disegno ” (la sua camera lucida), che William Henry Fox Talbot si mise a fantasticare su un’altra cosa, che un giorno chiamerà la fotografia: non sarebbe meraviglioso se le  immagini si imprimessero da sole  sulla carta e lì rimanessero, per sempre … (2). 

 

Nel frattempo si sono fatti passi da gigante ! Vent’anni dopo, in Francia, i fotografi della Missione eliografica, Edouard-Denis Baldus, i fratelli Bisson, anche Charles Nègre, ci danno un’idea dell’importanza del patrimonio monumentale e paesaggistico. Ben presto, Carleton Watkins, Edward Muybridge e Timothy O’Sullivan percorrono l’Ovest americano, essendo uno degli obiettivi del Congresso quello di individuare gli ambienti da proteggere, i futuri parchi naturali. Pur preoccupati dai problemi tecnici, difficili da controllare e che ne disturbano la poesia, questi pionieri non sono meno affascinati da quanto scoprono – geysers, alberi fossili, fiumi selvaggi – e restituiscono fedelmente. E’ interessante rilevare che Luca Gilli, laureato in scienze naturali e impegnato nella difesa dell’ambiente, oggi si preoccupa di realtà simili.

 

Dovrà trascorrere qualche anno prima che la fotografia sia in grado di parlare alla natura con la libertà del poeta. Walt Withman e le sue leggendarie Leaves of Grass (Foglie d’erba) oppure Henry David Thoreau che scrisse io sono le pietre della sua riva, sono la brezza nel cavo della mia mano, tutte le sue acque e tutta la sua sabbia... (3),  sono i parenti prossimi dei fotografi.  Verso il 1920, Edward Weston, ancora sconosciuto, riconsidera profondamente la propria opera, rifiuta le correnti pittoriche ancora dominanti, ed esplora le potenzialità proprie alla fotografia. Egli incontra Alfred Stieglitz che lo incoraggia ad esprimere, all’interno di questi limiti,  la quintessenza delle cose, per esse stesse, dettagliandole con precisione, con rispetto – quello stesso che si ritrova oggi in Luca Gilli. La pietra deve essere dura, la corteccia ruvida e la carne viva, afferma Weston. Esse possono essere rese più dure, più ruvide, più vive ancora se necessario. In una parola, cerchiamo la bellezza fotografica!  Egli la troverà, e farà “scuola”: infatti è l’ispiratore del Gruppo f 64, attivo negli anni 30, che ha attraversato i deserti californiani. Ne fanno parte Imogen Cunningham, Brett Weston, Alma Lavenson, Sonia Noskowiak, e anche Ansel Adams, un innovatore per il proprio tempo, senza alcun dubbio il più conosciuto tra i paesaggisti della scuola americana. Il gruppo difende “ un approccio schietto e puro della fotografia ”, affermano i suoi membri. Dichiarazione forse un po’ idealista. Per Edward Weston, il paesaggio è una scultura. E’ invece effimero secondo Ansel Adams, e sottomesso alla luce, che lo modifica continuamente… Ma sono poi veramente due teorie in contraddizione ?

 

Non andrei oltre con questa storia della fotografia, ripercorsa in funzione del lavoro di Luca Gilli, se non fosse indispensabile un’ultima svolta ! Esiste in effetti una relazione evidente tra il suo lavoro e quello di Paul Caponigro, relazione che emerge più nell’ispirazione che nella forma. Per Caponigro, la fotografia è come la musica. Nasce interamente dall’animo, senza calcoli. Essa fa a meno di formule e di valutazioni intellettuali… L’immagine è sentita, visualizzata, prende forma nella calma di una meditazione molto prima che si aprano gli otturatori e che le pellicole e la carta vengano immersi nelle bacinelle !  Non è questo ciò che noi percepiamo attraverso le immagini di Luca Gilli ? Senza alcuna aridità, e lontano dal fare una descrizione banale, queste immagini risvegliano, suggeriscono, mormorano, mettono in luce. 

 

Cosa dire di più ? Descrivere le immagini è inutile, superfluo. Hanno già il loro linguaggio. Citare altri nomi, evocare altre notevoli opere non ci porterebbe più lontano. Luca Gilli ed i fotografi di cui abbiamo parlato hanno in comune di intrattenere uno stretto rapporto con la natura. Essi la comprendono e la rispettano. Amano la fotografia, la praticano in modo personale e creativo. Questo è il segreto. Non ce ne sono altri. 

 


(1) - Paysages Photographies / Mission photographique de la DATAR, Hazan, Paris, 1984

(2) - William Henry Fox Talbot, The Pencil of Nature,1844

(3) - Henry David Thoreau, Walden ou la vie dans les bois, 1854

  

 

                             


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